sabato, febbraio 27, 2010

Come volevasi dimostrare...

"Oxford Murders - Teorema di un delitto"
(or. "The Oxford Murders")
Regia di Alex de la Iglesia, Spagna/Francia/UK, 2008.


Martin (Elijah Wood), studente americano in cerca di affermazione accademica, si trasferisce ad Oxford per condurre un dottorato con l'emerito professore di Logica Arthur Seldom (John Hurt). A dispetto del disastroso approccio iniziale, i due si troveranno presto coinvolti in una serie di delitti che li sfiora da molto vicino e che proveranno a risolvere come fossero un complesso problema matematico.

Solito giallo da intrattenimento con poche pretese, ma infarcito di pseudocitazioni filosofico-matematiche un po' fuori luogo (ed alquanto "ad minchiam").

La trama è esile, l'interpretazione degli attori sempre sopra o sotto le righe, la regia non è male, ma, sinceramente, penso che qui de la Iglesia si sia preso un po' troppo sul serio o abbia rinunciato a "lasciarsi andare".

Ultimamente, sembra che la matematica sia un attrazione troppo ghiotta per gli scrittori e gli sceneggiatori (tanto del grande quanto del piccolo schermo) che provano a sbolognare crime-stories poco convincenti. Il risultato, però, mostra troppo spesso il fianco e, allora, sarebbe forse meglio lasciare in pace Fibonacci, Heisenberg e Wittgenstein e provare a sforzarsi un po' di più per partorire qualche sceneggiatura un po' più solida.

Da vedere?... Solo per salvarsi da una maratona-Sanremo o dalla diretta del Grande Fratello!...


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mercoledì, febbraio 24, 2010

Quei maledetti anni '80...

"The Informers - Vite oltre il limite"
Regia di Gregor Jordan, USA/Germania, 2009.

Tratto dal libro di Bret Easton Ellis intitolato "Acqua dal Sole" (or. "The Informers") del 1994, il film è un racconto corale che narra la girandola di vite a base di sesso, droghe ed apatia nelle vite tanto lussuose quanto annoiate di una cerchia di personaggi dell'alta società losangeliana del 1983, mentre intorno a loro aleggia l'ombra dell'HIV.

Non ho mai letto niente di Bret Easton Ellis, ma dopo "American Psycho" e questo "The Informers", comincio a pensare che i suoi libri non siano adatti alla trasposizione cinematografica... o, forse, sarà solo sfiga?...

In fondo, a noi che gli anni '80 li abbiamo vissuti nella provincia italiana, tra i miraggi della Milano tutta moda e Ramazzotti e gli spot delle merendine sulle tv commerciali, questi anni '80 losangeliani a base di soldi, sesso promiscuo e droghe di lusso, sembrano qualcosa di estraneo, quasi alieno.
Il fatto, poi, che il film sia stato prodotto adesso (nel tempo in cui il tronfio edonismo narcotizzato è materia narrativa più che popolare, arrivando addirittura ad avere un filone tutto suo tra le produzioni seriali televisive come "Nip/Tuck" e "Californication", tanto per dirne un paio), probabilmente incide sull'impatto tematico che poté, invece, avere il libro al tempo della sua uscita in libreria!...

Or dunque, basta infarcire il cast di star controverse e dannate (Kim Basinger, Mickey Rourke, Billy Bob Thornton, Winona Rider, Brad Renfro, ecc ecc) per rendere altrettanto maledetta la trasposizione su pellicola di uno degli autori più maudit della narrativa statunitense contemporanea?!... L'esito di questo film, mi suggerirebbe di no e, a parte alcuni momenti interessanti (pochi, dal mio punto di vista), il tutto sembra scadere in una melensa e trascinata soap opera familiare a base di quegli eccessi patinati che noi, poveri mortali (per fortuna) non vivremo mai, dove le storie dei vari personaggi si sfiorano in maniera un po' insapore e con una meccanica alquanto artificiosa, infarcita di languidi sguardi depressi e dialoghi al limite del tautologico...

Da quanto ho letto, sembra che dal film sia stato escluso il personaggio di un vampiro, che era invece contemplato dalla versione letteraria. Peccato!... Chissà che la presenza di un personaggio sovrannaturale non potesse donare all'intero testo filmico una chiave di lettura un po' diversa e leggermente più interessante.

Da quanto ho visto, nello scintillio dell'intera mise en scène della pellicola, tra le scialbe chiome platinate e ingelatinate ed i pallidi interni minimal-chic, spiccano con una certa forza il personaggio di Rourke (al quale, ormai, basta mostrare il proprio degrado fisico per riempire lo schermo della decadenza associata ai suoi personaggi) e la timida e insicura vulnerabilità del personaggio di Jack, reso da un ottimo Brad Renfro (qui alla sua ultima apparizione sullo schermo, prima della prematura scomparsa).

Consigliato?... ASSOLUTAMENTE NO!... Con buona pace dello scrittore Ellis, accreditato quale produttore esecutivo, ma subito dissociatosi dalla pellicola una volta visto il risultato finale!...


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giovedì, febbraio 18, 2010

Etimologie compulsive

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mercoledì, febbraio 03, 2010

Le irrealtà gemelle

"Fur -
Ritratto immaginario di Diane Arbus"

Regia di Steven Shainberg, USA, 2006.

Da lungo tempo aspettavo l'occasione di vedere questo film, non tanto per il riferimento alla vita della fotografa statunitense Diane Arbus (in realtà, sono molto poco propenso al genere "biopic") quanto per il fatto che questa pellicola uscisse dalle mani di Steven Shainberg, regista che ho avuto modo di apprezzare per il suo precedente "Secretary".
Avuta finalmente l'occasione, posso adesso considerare la mia curiosità soddisfatta. Non posso, invece, considerare altrettanto soddisfatto il mio (personalissimo) gusto cinematografico.

Il film, invero poco o niente biografico, si propone di raccontare sotto forma di flashback una interpretazione romanzata del progressivo distacco della Arbus (interpretata da Nicole Kidman) dal suo ambiente alto-borghese intessuto di formalità ed il momento di autocoscienza che la fece approdare a quella ribelle ispirazione fotografica che i suoi estimatori e gli appassionati di fotografia le riconoscono.
Alla fine degli anni '50, moglie impeccabile, tanto inquieta quanto assoggettata ai doveri che lo status sociale le impone, Diane vive con frustrante disagio dentro la cornice di patinata mondanità che le è stata imposta dalla famiglia di origine e dal marito, fotografo di moda, fino al giorno in cui, l'arrivo nel proprio stabile di un nuovo inquilino misterioso ed eccentrico, la spinge ad un'esplorazione dei propri istinti di donna e di fotografa e la muove verso quella che diverrà la sua poetica del marginale e del mostruoso quotidiano.

Vagamente basato sulla biografia scritta dalla giornalista Patricia Bosworth, il film di Shainberg si distacca immediatamente da qualsiasi realismo per costruire una narrazione dai toni irreali. Non a caso, a conclusione dei titoli di coda, il regista ci tiene a precisare che gli eventi illustrati nel film sono in buona parte frutto di fantasia. Mi sembra, dunque, che la chiave di lettura di questo curioso testo cinematografico sia più quello dell'omaggio che non quello della ricostruzione.
Sul piano della narrazione fiction, però, mi sembra di poter dire che il film sia ancora più deficitario.

Se già nel succitato "Secretary" Shainberg aveva dato un ottimo esempio di come si possano vivere, narrare e rappresentare su celluloide le legittime "perversioni" umane con uno spirito leggero ed una nutrita dose di ironia, nel caso di questo "Fur", questa poetica sembra non funzionare. La messa in scena rigorosa e tenue al tempo stesso, le luci piatte e le dominanti pastello (anche nelle scene negli interni più decadenti, quali, ad esempio, l'appartamento di Lionel) non seguono di pari passo gli episodi della vita della protagonista e, ad una regia attenta alle costruzioni visive non corrisponde una sceneggiatura altrettanto interessante.

Lo spunto più interessante di questo film è quello di non badare tanto alla veridicità della storia, quanto di tentare un'esplorazione nell'universo psicologico e visivo che ha caratterizzato l'intera opera della Arbus. L'esperimento fallisce abbastanza in fretta non appena la sceneggiatura decide di svelare tutti i misteri che stanno dietro la porta del vicino Lionel (interpretato da Robert Downey Jr.) riducendosi così ad una inconsistente storia sentimentale vagamente melodrammatica.

La prova d'attrice della Kidman è valida, sebbene la sua compostezza "imborghesita" sembra più in linea con la parte del film che ho meno apprezzato, mentre Downey Jr. (nascosto da abiti, maschere e peli per la quasi totalità del film) appare quasi schiavo delle commedie da teenager che ha abbondantemente interpretato negli anni '80 e non riesce a regalare al suo personaggio lo spessore che meriterebbe.

Interessanti le scenografie ed i costumi (in particolare le maschere di Lionel), peccato che questi (così come il tema ricorrente dei capelli e dei peli umani ed animali) vengano declassati a semplice elemento di bizzarro leitmotiv superficiale.

Da vedere?... Non so. Penso che a Stanley Kubrick è bastata una inquadratura per avvicinarsi allo spirito della Arbus molto di più di quanto Shainberg abbia fatto con un intero film!


Solo per curiosi.




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