mercoledì, marzo 03, 2010

Polvere di stella

"JCVD - Nessuna giustizia"
Regia di Mabrouk El Mechri, Belgio/Lussemburgo/Francia, 2008.

In un periodo particolarmente buio della propria vita e carriera, Jean-Claude Van Damme (nella parte di se stesso) torna nel proprio paese natale in Belgio, ma, entrando in un ufficio postale per una normale operazione di routine, viene coinvolto in una rapina in atto. Il confronto tra il coraggioso eroe-karateca dell'immaginario cinematografico e l'uomo "reale" con le sue debolezze e vulnerabilità sarà inevitabile.

A quasi cinquant'anni e con diverse fasi di altalenante successo alle spalle, Van Damme qui si mette in gioco accettando di prendersi in giro e svelare glorie e miserie della propria carriera in un film che, partendo dal classico schema dell'hostage movie, mescola realtà e finzione in maniera paradossale ed arguta.

Tra Quel pomeriggio di un giorno da cani ed Essere John Malkovich, questa pellicola prende dal primo una prosa filmica asciutta ed efficace e dal secondo il gioco intellettuale del metafilmico. Il tono generale del film, però, è quasi sempre di un grottesco ironico ed intelligente, gioca con gli stilemi classici del film-rapina arricchendosi di finezze registiche che alludono a certi grandi classici, ma senza prendersi mai troppo sul serio, mentre la fotografia pallida e desaturata sembra sottolineare le tracce del tempo (e della quotidianità) sul corpo ormai segnato dell'attore-atleta e i diversi dialoghi improvvisati non fanno che sottolineare questi giochi di senso. Direi che, in questo caso, l'impronta europea riesca a dare alla pellicola quel tocco di sapido in più.

Al contrario di altre recensioni che ho letto, però, ho reputato del tutto pleonastico ed evitabilissimo il famoso monologo-confessione di sei minuti voluto dallo sceneggiatore-regista ed improvvisato da Van Damme attingendo al proprio vissuto di star dagli altalenanti successi. Si potrebbe dire che basterebbero le inquadrature, i silenzi ed il confronto con gli altri personaggi (uno per tutti, il dialogo in taxi tra l'attore e l'autista) a dire molto di più di qualsiasi "mea culpa" e che lo spiattellamento delle proprie miserie non possa che risultare soltanto triste e patetico, quasi quanto denudare i propri sentimenti nel "confessionale" di un reality/celebrity show.

In sostanza, un film divertente, intrigante ed anche significativo, metafilmico ma senza eccessi cervellotici. Perfettamente sintetizzato nella metafora della contrapposizione tra l'ufficio postale sotto assedio e la videoteca di fronte.


Buona visione!



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