lunedì, giugno 25, 2007

Sotto la citazione niente

"A prova di Morte" ("Death Proof"), scritto e diretto da Quentin Tarantino, USA, 2007.

Sin dall'uscita (e dal successo) di Pulp Fiction, non si può negare che Quentin Tarantino sia diventato uno dei nomi-simbolo del cinema mondiale, suscitando, così, curiosità, attesa ed enormi aspettative ogni volta che lo si sapeva dietro la macchina da presa. Amati o odiati, i film dei quali ha firmato la regia hanno sempre rappresentato un buon terreno di scontro dialettico tra fautori e detrattori, comunque un paletto del quale tenere conto, a prescindere dalle proprie preferenze cinematografiche.

Con queste premesse, ma anche a seguito delle vicissitudini produttive e delle indiscrezioni provenienti dal set, in molti eravamo in trepidante attesa di Grindhouse: un film-manifesto già a partire dallo stesso titolo, dagli interpreti, dalle locandine, dalle foto di scena e, soprattutto, dall'annunciata struttura a polittico.

Purtroppo, non ben precisate scelte della distribuzione europea, hanno voluto che i due segmenti Death Proof e Planet Terror (rispettivamente opera di Tarantino e Robert Rodriguez) fossero distribuiti e programmati separatamente ed hanno dunque spinto il Tarantino-regista a rimaneggiare il montaggio (e prolungare il metraggio) di quello che doveva essere, nei piani originari, soltanto uno degli episodi dell'intero film, rendendo vano, col senno di poi, l'unico aspetto veramente interessante e sensato (inteso come avente senso) di Death Proof.

Sull'attitudine tarantiniana di proporre e riproporre pezzi di immaginario da celluloide è stato detto di tutto: la sua tendenza di cinefago onnivoro col pallino degli anni '70 è emersa fin da Le Iene e (serve dirlo?) Pulp Fiction, per arrivare a sclerotizzarsi nella sua forma più anabolizzata e mirabolante nei parossismi visivi di Kill Bill; in questo Death Proof, però, il gioco sembra mostrare la corda e tradire una certa mancanza di vera ispirazione.

Se è vero che le recenti esternazioni del regista a proposito del cinema italiano contemporaneo hanno fatto storcere parecchi nasi, è pur vero che la sua dichiarazione andrebbe letta alla luce dell'ossessione del cineasta di Knoxville per il cinema di genere (quello sì, davvero morto nel nostro paese); eppure, stavolta neanche il suo colpo va a segno e devo ammettere che mi è dispiaciuto dover toccare con mano l'esaurimento di quella vena cine-aurifera che pareva essere ben lungi dall'esaurirsi ed avere ancora tanto da seminare.

Andiamo sul concreto e spieghiamo come stanno le cose: Death Proof narra le vicende di un maniaco che gode nel pedinare, terrorizzare e, talvolta, uccidere le sue vittime con delle auto rinforzate a prova di incidente.

Intreccio? Zero! Il contenuto della pellicola, in realtà, dovrebbe stare tutto nella forma, la quale, a sua volta, non fa che rimandare ad altro, cioè al cinema di serie B degli anni '70, quello cosiddetto d'exploitation, quello, appunto, in programma nelle sale grindhouse (sale di infima categoria dalla programmazione a base di film horror, violenti e/o velatamente pruriginosi).
Se da una parte questo atto di onanistico piacere cinefiliaco può indurre in tentazione lo spettatore durante le prime sequenze, basta andare un po' avanti per rendersi conto del fiato corto che affligge il film stesso, anzi, l'effetto diventa quasi di rigetto quando il citazionismo si fa pleonastico e, spesso, autocompiaciuto, ad esempio in occasione delle tonnellate di citazioni da Le Iene, Pulp Fiction e Kill Bill (le quali, più che strizzare l'occhio all'appassionato tarantiniano, stufano quanto una pubblicità di loghi&suonerie) o la pletora di titoli e poster di cult movies snocciolati ad ogni dialogo ed inquadratura.

Il motivo di tale procedere alla deriva sembra dovuto all'accumulo compulsivo di elementi senza una chiara visione d'insieme, quasi il regista si fosse lasciato prendere la mano durante le riprese per dare vita ai propri capricci filmografici più reconditi, salvo trovarsi in difficoltà al momento di tirare le somme e trasformare il girato in un corpus organico. I cambi di fotografia e registro appaiono del tutto arbitrari ed insensati ed i famosi dialoghi tarantiniani delle sue prime pellicole (memorabili per il gusto così squisitamente post-pop) vengono scimmiottati da inconcludenti scambi di battute ripetitive dal sapore men che insipido.

Peccato, perchè, in fondo, di elementi saporiti ce ne potrebbero essere eccome! Uno splendido Kurt Russell a metà tra una versione imbolsita di Jena Plissken ed un villain di Russ Meyer, luciferino e anacronistico al tempo stesso come un vero demone texano; una manciata di ragazze dal look (e dal sex appeal) tanto conturbante e seventies da far venire le palpitazioni (la lap dance di Vanessa Ferlito suscita bollori non indifferenti), una sfilata di muscle cars da fare impallidire i più scatenati feticisti di cromature e motori V8 e, non ultima, una colonna sonora fatta di titoli e nomi sconosciuti ai più, ma, destinati a risuonare a lungo negli altoparlanti delle autoradio.
Insomma, più che mai possiamo dire che qui il totale è meno della somma delle parti! Colpa forse di un Tarantino troppo traviato dai propri sogni proibiti al punto di non sapere più discernere le idee dalle gratuità?!

La mia impressione (ampiamente condivisa anche dall'amico Bravo Ragazzo) è quella di un film sbilanciato, un potenziale godevole divertissement... se solo si fosse tenuta fede al progetto originale del film in due parti, se solo Tarantino si fosse dimenticato di essere Tarantino ed avesse messo la macchina da presa al servizio di una più sintetica storia alla Joe Lansdale, se solo avesse rinunciato ad infarcire il tutto dell'indigesta mistica citazionista videotecara alla quale si è consacrato fino al fanatismo.

Da vedere? Solo se non saprete tenere a bada la vostra curiosità. Solo se non vorrete comunque perdervi l'ultima tarantinata. Solo se vorrete indagare in prima persona l'argomento delle vostre prossime dispute cinefile.
Se invece v'interessa principalmente guardare un bel film... allora scegliete qualcos'altro senza troppi rimpianti!

Beh... comunque decidiate...

Buona visione!...


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4 Comments:

Anonymous Anonimo said...

lo vedrò sicuramente! salve bonzo! quanto tempo!
bat

11:02 AM  
Blogger Lo Zio said...

Salve Bat!

...Che dire, pensavo di averlo stroncato e invece, mi sa che ho suscitato maggiore curiosità!

Come si dice in questi casi: ai posteri l'ardua sentenza!

Saluti

12:39 PM  
Anonymous Anonimo said...

Sono andato a vederlo e mi è piaciuto un casino, mooolto più di Kill Bill! Certo se cerchi messaggi profondi da film d'autore all'europea è meglio lasciar perdere, ma se ti fai avvincere dal clima di divertissment cinefilo c'è da fremere per un paio d'ore. Storia inesistente, nessun intreccio ma tanto feticismo per ogni pezzetto di inquadratura. La gratuità mi è parsa più lieve e motivata che non nel suddetto KB, dove davvero ogni ammiccamento mi infastidiva terribilmente. Qui vedo solo un bell'omaggio ad un genere ed un'idea di cinema prettamente americano ed ormai purtroppo scomparso (purtroppo in relazione alla/e qualità e "idee" di cinema della produzione USA). Ai posteri l'ardua sentenza

3:22 PM  
Anonymous Anonimo said...

davvero un filmetto (e sono buono perchè tarantino lo amo). d'accordo con lo zio. il divertissement che pure ci sarebbe potuto essere, sussiste solo nel finale dei due tempi, quando il ritmo si riprende.
per il resto dialoghi davvero inostenibili, soprattutto quello che apre il secondo tempo, pieno zeppo solo di parolacce e null'altro.
se penso a quello che sarebbe capace di fare il ragazzo...
pensa che su VIA FREUD 33 non ho voluto neanche recensirlo...

4:22 PM  

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