sabato, ottobre 28, 2006

Clac-clac e tre corti signori

Clac clac e uno schiocco di dita
fanno le onde del mio destino...
peti di plastica e cotone idrofobo
navigano le acque di nessun torrente.
Com'è triste Aristarco se non mostra la fame,
non puoi parlargli
né ricordare quella triste nenia dei tempi di bombe.

Non chiediamoci, buoni, come fosse infuocare ogni cosa.
Non tediamoci, molli, senza senno od occhiali puntuti.

Vita e saliva,
saliva e parole,
lingua morta dietro lunghe palizzate corrotte da faglie.

Una volta ho visto anche piccoli pugni brandire assetati un grumo al limone,
erano vecchi, stanchi, forse abbattuti da tanto ciarlare,
ma il pensiero di un'otre intera faceva loro tornare baffetti guizzanti e libido.

La tua torta di legno è intonsa,
sembra muta oppure attutita dal batter continuo.
Non saluto i salumi ammuffiti
ed ancora ritorno a cercare gli inchiostri di marmo.

Ho cercato perfino nei fumi di intere città una nota,
un frinire distratto verso ceste ripiene di grasso...
era niente, era niente,
era solo un ambìto rigore di tenui promesse.

Ed intanto nei forni si scaldano azzurri piumaggi di corte,
cardiache presenza sono sempre più inique,
sembra il sonno intonare un peana appena sospeso
sopra ombre di sete,
sopra tute spaiate,
sopra tetti intrecciati di chiodi...

Forse, allora, è già tempo di stare...


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